Cous Cous Fest 2018 – Con Mare Nostrum trionfa l’umanità

Mare Nostrum. Mare Nostro. Né mio, né tuo, nostro. Appena ho ascoltato per la prima volta il nome che in epoca romana venne attribuito al Mar Mediterraneo l’ho adorato.  Luogo di contatto, fragile cerniera tra culture che nelle sue acque si sono specchiate e identificate. Ecco, al racconto della mia prima volta al Cous Cous Fest di San Vito Lo Capo vorrei dare questo titolo: Mare Nostrum.

Il borgo trapanese di San Vito lo Capo custodisce l’abbraccio tra la Sicilia e l’Africa e lo arricchisce con la memoria di fenici, saraceni, arabi, normanni e spagnoli. Una scenografia perfetta fatta di una distesa di sabbia bianchissima mossa dal vento, profumata di gelsomino, colorata di buganville e protetta da un promontorio multietnico che sembra uno scudo cangiante con la luce del sole. Protagonista indiscusso: il Cous Cous. Piccoli granelli di semola che mettono insieme le diversità culturali.

 

Piatto tipico degli Amazighen, non a caso “gli uomini liberi” e ricetta nazionale del Nord Africa, il cous cous è ormai una pietanza diffusa e amata da Oriente a Occidente. La tradizione vuole che venga servito su un piatto rotondo con al centro il condimento e mangiato con le 3 dita della mano destra, chiamate “La forchetta di Allah”. Ricetta di una semplicità disarmante, fatta di ingredienti poveri e che affondano le proprie radici nella storia di ciascun Paese, il cous cous è oggi considerato in tutto il mondo “piatto della pace”. Convivialità, abbondanza, fertilità e unione sono le uniche componenti che restano uguali da un capo all’altro del pianeta.

Dieci giorni di Cous Cous Fest: dieci piatti, dieci culture, dieci sapori che si confrontano per una sfida che ha il gusto dell’integrazione, della condivisione, della scoperta e riscoperta dei valori. San Vito da 21 anni ospita la diversità, permette l’incontro tra i popoli e accoglie il mondo per ammirarlo. Sin dal primo momento, quando sono stata contattata da Feedback, l’agenzia che da sempre si occupa di ogni aspetto del Cous Cous Fest e che l’ha fatto diventare una case history affermata di promozione culturale e territoriale, ne sono stata entuasiasta. Insieme a me, nella giuria tecnica capeggiata da Fiammetta Fadda per la gara internazionale, Ilaria Barbotti, Presidente di Igersitalia e grande esperta del mondo digitale, nonché cara amica.

Nei miei giorni a San Vito Lo Capo ho gustato i piatti di Angola, Costa d’Avorio, Israele, Italia, Marocco, Tunisia, Senegal, Spagna, Stati Uniti e Palestina e ho tentato, nei limiti delle mie ben note scarse competenze culinarie, di dare il mio rispettoso giudizio. Al di là della sensazione che lasciavano i piatti al mio palato e soprattutto delle emozioni che mi trasmettevano dopo aver finito di gustarli, ho cercato di dare il mio meglio valutando la “fotogenicità” e la composizione del piatto. Le categorie nelle quali gli chef internazionali si sono confrontati (e non sfidati ndr) erano infatti “Miglior Cous Cous”, “Salute e benessere” e “Presentazione”. Piatti deliziosi con carne, pesce e verdure, ricette esotiche e della tradizione, condite sempre dall’amore e dalla voglia di raccontare il background della propria terra. Ho conosciuto culture e non solo persone, sono stata testimone di scene in cui gli chef dei diversi Paesi si aiutavano tra loro con gli occhi che brillavano di commozione, ho visto lacrime negli occhi di chi raccontava storie di sofferenza e duro lavoro e sorrisi bagnati nei volti di chi le ascoltava. Due sono le storie che, tra tutte, voglio condividere con voi.

Ndaye Alioune Badara detto Paco, senegalese, arriva in Italia e inizia a darsi da fare come molti suoi connazionali come vucumprà. Ha un sogno ma i piedi per terra, così senza aspettative partecipa alle selezioni per la scuola di Gualtiero Marchesi. “Non sapevo neanche chi fosse”, dice affrontando le facce incredule del pubblico. Ammesso e con il supporto economico di una borsa di studio inizia a dar vita a piccoli passi al suo sogno. Oggi diffonde l’ideale di una cucina a scarto zero, è chef in Finlandia dove si definisce “Ambasciatore della cucina italiana” ed è il vincitore del premio “Miglior Cous Cous” secondo la giuria popolare del Cous Cous Fest 2018.

Il piatto dell’Angola, “Memora e Pace, la vita in un piatto”, contiene il ricordo di un periodo difficile quando cibo voleva davvero dire sopravvivenza. Il cous cous arrivò nel Paese grazie agli aiuti umanitari dell’ONU e fu fonte di sopravvivenza per tutta la popolazione durante i 27 anni di guerra civile. Il condimento principale è la faraona, l’unico animale che sopravviveva in un territorio minato al 90%, mentre gli altri esseri cacciabili avevano abbandonato il Paese. La sua leggerezza gli salvava la vita e la salvava anche a tutta la popolazione a cui gli chef Adilson Damiao e Manuel Duarte Rodrigues hanno dato voce con questo piatto.

Storie forti, di certo non meno toccanti di tante altre non raccontate. Così la vittoria di uno è stata la vittoria di tutti. Eh sì, chi ha “vinto”? La Tunisia si è aggiudicata il titolo di “Miglior Cous Cous” secondo la giuria tecnica con la ricetta “Mare Nostrum (guarda un po’): un cous cous al gambero rosso, harissa grigliata e hummus al finocchietto. Tantissimi ingredienti perfettamente bilanciati e assemblati egregiamente per dare vita nuova a questo piatto millenario. Ma in realtà ha vinto l’umanità e questo era evidente in ogni respiro.

Ad enfatizzare la magia di questo territorio, la struttura presso la quale ho alloggiato: l’Hotel Vento del Sud, nel cuore di San Vito Lo Capo. E qui torna il mio amato Mare Nostrum. Ventuno camere arredate seguendo lo stile dei Paesi bagnati dal Mediterraneo: Sicilia, Grecia, Tunisia, Marocco e Spagna. Mi sono innamorata della mia stanza “Marrakesh” non appena vi ho messo piede!

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